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Il contesto: cosa chiede Verizon e perché adesso
Il 21 maggio 2025 Verizon ha depositato presso la Federal Communications Commission (FCC) una formale richiesta di waiver per eliminare l’obbligo di sbloccare automaticamente, dopo 60 giorni, i telefoni venduti ai propri clienti. Si tratta di una regola che riguarda solo l’operatore statunitense, frutto di due decisioni passate: le condizioni imposte nel 2008 sullo spettro 700 MHz (la cosiddetta “C-Block Rule”) e quelle legate all’acquisizione di TracFone nel 2021. Oggi Verizon sostiene che la norma sia «obsoleta» e che favorisca un traffico internazionale di dispositivi sovvenzionati che le costerebbe “centinaia di milioni di dollari l’anno” in frodi e mancate rateizzazioni, oltre a renderla un bersaglio privilegiato per le organizzazioni criminali :contentReference[oaicite:0]{index=0}.
Il dibattito in seno alla FCC
La mossa di Verizon arriva in un momento delicato. Nel luglio 2024 la presidente FCC Jessica Rosenworcel aveva lanciato un Notice of Proposed Rulemaking (NPRM) per estendere a tutti gli operatori un obbligo uniforme di sblocco entro 60 giorni dalla prima attivazione, proprio l’arco temporale che Verizon ora vuole cancellare :contentReference[oaicite:1]{index=1}. La proposta era motivata dall’idea che “la concorrenza si fa anche con la trasparenza”: telefoni sbloccati significano barriere più basse per cambiare gestore e, in ultima analisi, prezzi più competitivi per l’utenza.
Non tutti, però, la pensano così. La NCTA, che raggruppa i grandi operatori via cavo, spinge per un periodo di 180 giorni, giudicando i due mesi troppo corti per identificare le frodi senza penalizzare le offerte a rate o i dispositivi sovvenzionati :contentReference[oaicite:2]{index=2}. Sul fronte opposto, gruppi consumer come Public Knowledge, Open Technology Institute e Consumer Reports hanno depositato commenti favorevoli a un limite uniforme di 60 giorni, ritenuto «più equo e inclusivo, soprattutto per le fasce a basso reddito» :contentReference[oaicite:3]{index=3}.
Fra concorrenza e frodi: i due volti del blocco SIM
Al cuore del dibattito ci sono due esigenze che mal si conciliano:
- Tutelare le sovvenzioni. Negli Stati Uniti, gli operatori usano ancora il modello del telefono scontato legato al contratto. Un blocco iniziale limita il rischio che un cliente rivenda il device prima di pagarlo tutto.
- Stimolare la concorrenza. Sbloccare presto l’apparato riduce i costi di switching e rende più facile cambiare rete (per esempio, passare a un MVNO più economico).
La FCC ha cercato di bilanciare queste istanze proponendo i 60 giorni, periodo che considera sufficiente a individuare le frodi senza soffocare la mobilità dei clienti :contentReference[oaicite:4]{index=4}. Verizon replica che “nemmeno due mesi bastano a fermare i trafficanti internazionali”, citando l’aumentata sofisticazione dei furti d’identità usati per accaparrarsi smartphone di fascia alta :contentReference[oaicite:5]{index=5}.
Uno sguardo oltre l’Oceano
Dall’altra parte dell’Atlantico la questione suona quasi anacronistica: in Europa i telefoni venduti dagli operatori sono, nella maggioranza dei casi, già sbloccati alla consegna. Il motivo è duplice: la normativa comunitaria sulla concorrenza e la diffusione dei piani “solo SIM”, che riducono l’incentivo a sovvenzionare l’hardware. Guardare al modello europeo evidenzia quindi quanto l’obbligo di sblocco negli USA sia diventato un tassello strategico più che tecnico: regolare il timing dello sblocco equivale, in pratica, a decidere quanta libertà dare ai clienti nel mercato post-pagato.
Il verdetto potrebbe ridefinire l’equilibrio tra i carrier
Se la FCC concedesse davvero il waiver a Verizon, l’effetto sarebbe duplice:
- Nuovo precedente regolatorio. Altri operatori—AT&T e T-Mobile per primi—potrebbero chiedere deroghe simili o, al contrario, sfruttare la vicenda per spingere contro l’approccio “à la carte” che grava su un singolo competitor.
- Ripensamento delle offerte a rate. Per contenere i rischi di frode, Verizon potrebbe inasprire i controlli di credito o ridurre gli sconti sui device, scaricando parte dei costi sul consumatore finale.
Viceversa, un rifiuto da parte della Commissione consoliderebbe la proposta di Rosenworcel, confermando il 60-day rule come standard di fatto per l’intero settore.
Il mio punto di vista
Personalmente trovo che il vero nodo non sia il numero “magico” di giorni, ma la simmetria regolatoria. Oggi esistono operatori (Verizon) soggetti a vincoli stringenti per trascorsi storici, e concorrenti (AT&T, Comcast) che possono bloccare i device anche per un anno. Questa asimmetria genera distorsioni difficili da giustificare nel 2025, quando la portabilità dei numeri è istantanea e il valore del servizio supera largamente quello dell’apparato. Un approccio uniforme—60, 90 o 180 giorni che siano—restituirebbe chiarezza agli utenti e neutralità competitiva ai carrier. Il rischio frodi, per quanto reale, dovrebbe essere mitigato con strumenti di ML e black-list condivise, non “imbullonando” la SIM al telefono. Al contrario, blocchi prolungati possono frenare l’economia circolare degli smartphone di seconda mano, con impatti ambientali e sociali.
Conclusioni
Nel breve termine la palla passa alla nuova FCC a maggioranza repubblicana, che dovrà decidere se cavalcare l’ondata deregolatoria evocata dal commissario Brendan Carr o se preservare l’equilibrio tra incentivi commerciali e diritti dei consumatori. Qualunque sia la scelta finale, lo sblocco degli smartphone resterà un barometro perfetto per misurare quanto il mercato statunitense voglia davvero premiare la mobilità degli utenti.