
Lo scorso maggio un nuovo report ha rivelato che il 74,8% dei giovani belgi ha intrapreso misure concrete per limitare l’uso dei social media, segnando un incremento di 4,4 punti percentuali rispetto all’anno precedente . Se guardiamo più da vicino, il fenomeno non è un semplice riflesso della moda del “digital detox”: stiamo parlando di una tendenza radicata, dettata da un mix di esigenze psicologiche, pressioni sociali e – diciamolo – un po’ di stanchezza da notifiche.
Nel più ampio panorama delle piattaforme, Instagram regna ancora sovrano: oltre l’80% degli under-25 belgi lo utilizza quotidianamente, con un picco del 90% tra le ragazze belganewsagency.eu. Ma non è l’unico protagonista: TikTok continua la sua ascesa tra i 16–24enni (71% di utenti giornalieri), mentre Facebook perde terreno in modo significativo, passando dall’85% di utenti giornalieri del 2020 al 43% di oggi belganewsagency.eu. È un quadro dinamico, dove l’attenzione si sposta da un’app all’altra con la stessa rapidità con cui scorriamo il feed.
Per capire meglio il contesto, basti pensare che in Gennaio 2025 quasi 8,98 milioni di belgi (pari al 76,4% della popolazione totale) avevano almeno un’identità social attiva DataReportal – Global Digital Insights. Numeri che dimostrano come i social media siano ormai un vettore di comunicazione di massa: non una nicchia, ma la norma. Eppure – ed è qui che il discorso si fa interessante – proprio questa ubiquità spinge molti giovani a cercare un momento di respiro.
Quali strategie adottano? Eliminare le app, disattivare le notifiche e impostare un tetto massimo di tempo davanti allo schermo sono le misure più diffuse belganewsagency.eu. Tecniche semplici, quasi “alla buona”, ma con un’efficacia sorprendente: il gesto di cancellare l’icona dall’homescreen è un simbolico “reset mentale”, un modo per riprendere il controllo di un’abitudine che spesso sfugge. E se ci pensate, è quasi ironico: tanti strumenti digitali per “disconnettersi” da altri strumenti digitali.
Tuttavia, non mancano le voci critiche sulla validità di questi divieti improvvisati. L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), in un rapporto uscito il 15 maggio 2025, ha espresso dubbio sull’efficacia di divieti netti su smartphone e social tra i giovani, suggerendo politiche basate su dati concreti e coinvolgendo insegnanti, genitori ed esperti . Rimuovere l’accesso non risolve magicamente le radici del problema: serve un approccio integrato, che metta al centro educazione digitale e empowerment.
A completare il quadro, il network EU Kids Online ha fotografato la situazione tra i fiamminghi 13–17enni: l’83% usa prevalentemente lo smartphone per andare online, ma al contempo il 34% dichiara di aver visto hate speech e il 16% contenuti violenti almeno una volta al mese. Curiosamente, livelli di competenza digitale sopra la media non azzerano l’esposizione ai rischi eukidsonline.ch. Qui emerge il paradosso: saper gestire un dispositivo con destrezza non equivale a sapersi tutelare dai contenuti dannosi.
Il mio pensiero? In un’epoca in cui siamo “sempre connessi”, il vero traguardo non è solo limitare il tempo davanti allo schermo, ma coltivare una consapevolezza digitale. È un percorso di crescita, in cui il dialogo tra famiglia, scuola e policy maker diventa imprescindibile. Eliminare un’app è un passo, ma capire perché quella app ci “consuma” è il vero obiettivo.
Guardando avanti, la sfida è alimentare una cultura digitale che sappia bilanciare opportunità e rischi. Solo così, con approcci evidence-based e comunità attive, potremo trasformare il “limite” in un’opportunità di benessere digitale, dove il sole non tramonta mai sul sorriso (e non sulle notifiche).