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Tech

Antitrust vs Meta AI: perché Asstel esulta e cosa cambia per WhatsApp

redazione
Ultimo aggiornamento: 04/08/2025
redazione
6 Minuti di lettura
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Dopo settimane di malumori sotterranei fra i grandi operatori di rete, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha acceso i riflettori su Meta AI dentro WhatsApp. In poche ore l’indagine è diventata la notizia più chiacchierata del settore: non solo perché il colosso di Menlo Park rischia sanzioni fino al 10 % del fatturato globale, ma perché – per la prima volta – il dossier vede le telco schierate compatte al fianco dell’Antitrust.

Contents
Uno sguardo all’indaginePerché Asstel (e dintorni) festeggianoI nodi tecnici sotto la lente AGCMCosa rischia Meta – e cosa guadagnano gli utentiIl mio punto di vista

Uno sguardo all’indagine

Il 30 luglio l’AGCM ha formalizzato l’apertura di un’istruttoria contro Meta Platforms per “possibile abuso di posizione dominante” legato all’integrazione obbligatoria di Meta AI nella barra di ricerca di WhatsApp, attiva da marzo 2025. Secondo il regolatore, l’intreccio fra la chat più usata d’Italia e un nuovo servizio di assistenza generativa potrebbe falsare la concorrenza, “forzando” tre miliardi di utenti a familiarizzare con l’ecosistema di intelligenza artificiale di Meta e chiudendo la porta a player alternativi.

Meta ha replicato con il consueto aplomb: «Offrire funzioni d’IA gratis dentro un ambiente familiare dà più scelta ai consumatori». Frase ineccepibile sul piano del marketing, ma che non scioglie i nodi centrali sollevati dall’Antitrust: pre-installazione non disattivabile, raccolta dati per addestrare i modelli linguistici e, soprattutto, uso della base-utenti di WhatsApp come leva per un salto quantico di mercato.

Perché Asstel (e dintorni) festeggiano

Fin qui la cronaca, ma il vero colpo di scena arriva da Asstel, l’associazione che riunisce gli operatori telefonici italiani. In una nota dai toni insolitamente entusiasti, la filiera TLC ha definito l’azione AGCM «un segnale concreto per sanare le asimmetrie normative che penalizzano chi investe in infrastrutture»; in altre parole: finalmente qualcuno mette un argine allo strapotere delle piattaforme globali.

Dietro l’applauso c’è un malessere accumulato in anni di competizione sbilanciata. Le telco, chiamate a rispettare obblighi di intercettazione, assistenza H24 con personale umano e stringenti regole privacy, guardano ai big tech che offrono servizi simili senza gli stessi vincoli. Il caso Meta AI diventa quindi il terreno perfetto per rilanciare la battaglia sul cosiddetto level playing field: se le telco devono correre con piombi alle caviglie, anche chi “vive” sulle loro reti deve giocare con lo stesso regolamento.

I nodi tecnici sotto la lente AGCM

Sul tavolo dell’Autorità non c’è solo la concorrenza:

  • Tying & bundling senza opt-out: Meta AI compare come chat dedicata e non può essere rimossa. Il watchdog teme un effetto lock-in che dilata la già dominante quota di mercato di WhatsApp.
  • Training dei modelli: l’uso delle conversazioni per addestrare l’IA – seppure in forma aggregata – solleva interrogativi su legittimità e trasparenza del consenso.
  • Sicurezza e cifratura: le chat con l’assistente non godono della crittografia end-to-end classica di WhatsApp perché devono essere elaborate sui server Meta, fattore che apre una falla percettiva nella promessa “privacy first” dell’app.

Sono aspetti che toccano, oltre al diritto antitrust, la normativa privacy (GDPR) e persino il futuro perimetro DMA/DSA: se l’istruttoria italiana dovesse dimostrare un abuso, la Commissione UE avrebbe un caso-studio freschissimo per modulare le nuove sanzioni previste dal Digital Markets Act.

Cosa rischia Meta – e cosa guadagnano gli utenti

Sulla carta, una multa monstre da decine di miliardi non è improbabile (10 % del fatturato planetario è il tetto massimo dell’art. 102 TFUE). Ma la vera posta in gioco è il precedente: se l’Antitrust dovesse imporre lo scorporo di Meta AI da WhatsApp, nulla impedirebbe ad altre autorità UE di chiedere identiche misure in Francia, Germania o Spagna. La pressione regolatoria esterna potrebbe spingere Meta a ripensare l’intera strategia di integrazione “in bundle” dei suoi futuri prodotti d’IA.

Per gli utenti italiani la prospettiva più concreta è un semplice switch: la possibilità di disattivare o spostare la chat AI, scegliendo consapevolmente se interagire o meno. In tempi di hype generativo, un gesto minimale ma capace di ricordarci che – quando la concorrenza funziona – è sempre il consumatore il primo beneficiario.

Il mio punto di vista

Visto da fuori, il braccio di ferro appare come l’ennesimo scontro Davide-Golia; in realtà, l’Italia sta giocando un ruolo‐laboratorio per tutta l’Europa digitale. L’AGCM scommette su un concetto chiave: innovazione e fair play non sono opzioni alternative. Se la mossa andrà in porto, potremmo assistere a un salto di qualità nella tutela della concorrenza high-tech, costringendo tutti – telco incluse – a puntare sull’innovazione di servizio invece che sul puro effetto rete. Al contrario, se l’istruttoria scivolasse in un nulla di fatto, il rischio sarebbe di cristallizzare uno status quo dove solo chi controlla la piattaforma decide le regole del gioco.

Personalmente, trovo salutare che gli operatori – spesso accusati di conservatorismo – si schierino dalla parte della trasparenza. Un mercato aperto non teme la concorrenza dei big tech: teme semmai la concorrenza sleale. E in un Paese che ancora investe meno della media UE in infrastrutture digitali, riequilibrare poteri e responsabilità è l’unico antidoto alla marginalità.

FONTI:
Reuters
CorCom

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Taggato: #MetaAI #WhatsApp #Antitrust #Asstel #TelcoVsBigTech #AGCM #DigitalCompetition
redazione 4 Agosto 2025
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